Sapere che cosa è il diaframma e capirne il funzionamento credo sia uno dei capisaldi della comprensione della fotografia.
Il diaframma infatti, in fotografia, determina la quantità di luce che arriva al sensore della fotocamera quando scatti.
Fisicamente, è un meccanismo formato da lamelle che si sovrappongono a circoscrivere un foro, di cui può essere regolata l’ampiezza.
Attenzione: questo foro si controlla attraverso il corpo macchina, ma si trova all’interno dell’obiettivo.
(Nota: un tempo si controllava invece dall’obiettivo stesso).
Quando dunque in fotografia si parla di apertura, parola che chi fotografa conosce benissimo, si fa riferimento proprio al diaframma.
Da un punto di vista tecnico, il diaframma è un meccanismo formato da un anello di lamelle che si sovrappongono per andare a chiudere/aprire un foro.
Quando premi il pulsante di scatto, di fatto attivi una catena di eventi meccanici all’interno dell’ottica e del corpo macchina:
Rappresentazione grafica del diaframma e delle lamelle da cui è costituito
Come detto, modula la quantità di luce che raggiunge il sensore, cosa che incide notevolmente sul risultato finale della foto (vedremo poi come).
Quindi, controllando la dimensione del foro d’apertura, il fotografo dispone di uno strumento per modificare l’aspetto dell’immagine secondo la sua creatività personale.
Capire come usarlo permette dunque alla tua tecnica fotografica di fare un notevole balzo in avanti.
Tuttavia, anche se l’azione di chiudere e aprire il diaframma è in sé banale, maneggiarlo come risorsa creativa non è affatto facile.
E’ infatti solo una delle variabili in gioco, e va “pesata” insieme a molte altre, di cui le principali sono:
Tutte fondamentali per realizzare la composizione e l’idea creativa che hai in mente.
In questo articolo parleremo soprattutto di diaframma e ti darò dei link per andare ad approfondire la relazione fra quest’ultimo e Tempi si scatto ed ISO (il cosiddetto triangolo dell’esposizione).
Se ti interessa poi una trattazione più ampia della composizione fotografica, ti consiglio di dare un’occhiata al nostro manuale “Oltre la regola dei terzi”.
La dimensione dei “fori” delle diverse aperture del diaframma si misura in ‘stop’.
I fotografi principianti spesso vengono confusi dal loro sistema di numerazione poiché usa una sequenza che a prima vista sembra sottrarsi a qualunque logica.
Chi è agli inizi spesso pensa che un numero di “ƒ” più piccolo, come f/4, significhi avere un foro più piccolo rispetto a un numero di ƒ più grande, come f/22.
Ma solo quando si realizza che questo numero esprime una frazione (la ‘ƒ’ sta per lunghezza focale), ci si rende conto che è esattamente il contrario. so.
E che quindi F/22 è una apertura più piccola di F/4, e fa quindi passare meno luce.
Quanta in meno?
Lo calcoli sapendo che la scala delle apertura è una scala quadratica.
Cioè:
Quindi quando cambi il valore di ƒ da f/5.6 a f/8, per esempio, stai dimezzando la quantità di luce che colpisce il sensore.
Oltre alla modalità automatica che sceglie tutti i parametri di scatto, le fotocamere digitali reflex e mirrorless (ma spesso anche le bridge) hanno modalità semi-automatiche e manuali, che ti permettono di modificare a tuo piacimento alcuni di questi parametri.
La modalità a priorità di diaframma generalmente è indicata come Av nella ghiera delle modalità di scatto della tua fotocamera (‘A’ sta per apertura e ‘v’ per valore).
E ti permette appunto di modificare l’apertura mentre la fotocamera “aggiusta” di conseguenza il tempo di scatto, facendo sì che l’esposizione (cioè la quantità di luce che raggiunge il sensore) non cambi.
Per esempio, diciamo che stai scattando con:
Ma non sei soddisfatto del risultato: vorresti infatti che lo sfondo venisse un po’ più sfocato, per far risaltare meglio il soggetto.
Ora, per sfocare lo sfondo (effetto bokeh), bisogna aprire il diaframma. Che significa, in questo caso, andare a F/2.8.
Ma se Iso e Tempo rimangono uguali, con il diaframma che è raddoppiato anche la luce raddoppierà, e la foto sarà sovraesposta.
Per evitare ciò la fotocamera, in automatico, cambierà il tempo di scatto dimezzandolo ( portandolo a 1/250), per mantenere la stessa quantità di luce verso il sensore.
Come ogni esposizione calcolata dalla fotocamera, però, potrebbe non essere corretta al 100%, ma è qui che entrano in gioco l’istogramma e la compensazione dell’esposizione.
Nella maggior parte delle situazioni di scatto classiche, si preferisce usare la modalità a priorità di diaframma rispetto a quella completamente manuale, che invece è necessaria solo quando si vuole “uscire” dalle regole classiche di esposizione.
Oltre a poter aprire o chiudere il diaframma di un “intero” stop , è possibile scegliere anche dei valori intermedi.
Molte fotocamere, cioè, ti permettono dì impostare, tramite menù, un valore pari a metà stop o a un terzo (il valore di default).
Per esempio, mentre f/5.6 è uno stop intero e il successivo in sequenza è f/8, tra f/5.6 e f/8 c’è f/6.7 se cambi di metà stop oppure f/6.3 e f/7.1 se cambi in terzi di stop.
Questi incrementi nel livello d’esposizione funzionano allo stesso modo, tanto per l’apertura del diaframma quanto per la velocità d’otturatore, quindi se stai lavorando in modalità Av e inserisci una compensazione dell’esposizione, la velocità d’otturatore cambierà di un terzo o di mezzo stop.
Come regola generale, cerca comunque d’impostare sempre degli stop interi, perché è molto più rapido da fare.
E la rapidità, in molte situazioni di scatto, è importantissima.
L’apertura che scegli, oltre a far entrare nella fotocamera più o meno luce, ha un forte effetto sull’aspetto della tua foto in quanto influisce sulla nitidezza di primo piano e sfondo, cioè sulla profondità di campo (PdC in breve).
Essenzialmente puoi mettere a fuoco solo su un punto specificato all’interno della scena, ma la scelta dell’apertura determina quanta parte dell’immagine è ‘accettabilmente a fuoco’ sia di fronte che dietro al punto di messa a fuoco.
In realtà, l’apertura del diaframma non è l’unico parametro che determina la PdC: entrano in gioco anche la dimensione del sensore e la distanza dal soggetto e dalla lunghezza focale dell’ottica.
Per ragioni di semplicità, però, puoi considerare che è l’apertura del diaframma, e nello specifico il valore di f che scegli, ad avere l’impatto maggiore sul tuo scatto.
Per esempio, una leggera sfocatura usata in maniera creativa è un modo molto diffuso per indirizzare l’attenzione dell’osservatore verso un punto preciso all’interno della scena, e si ottiene aprendo il diaframma.
Quando invece vuoi tutta la scena a fuoco e il massimo della nitidezza, anche il diaframma dovrà essere chiuso il più possibile.
Spesso poi, in particolare quando vuoi ridurre i difetti ottici dell’obiettivo ed avere profondità di campo ampie ma non totali, lavorerai a diaframma intermedi.
In ogni caso, come dicevo, il diaframma è il più importante ma non l’unico determinante della PDC, e ti consiglio quindi di approfondirla su questo articolo.
Il diaframma è uno dei fattori che più condiziona la scelta di un obiettivo, perché non tutte le ottiche hanno le stesse aperture.
L’apertura indicata nel nome di un obiettivo si riferisce alla sua apertura massima.
Per esempio, il Canon EF 16-35mm f/2.8 USM ha un’apertura massima di f/2.8 per tutta la sua gamma di zoom.
Invece il Canon EF 24-105mm f/3.5-5.6 IS STM è caratterizzato da due aperture, questo perché ha un’apertura massima variabile che cambia a seconda della lunghezza focale: da f/3.5 nella sua focale minima di 24 mm, ad f/5.6 nella sua focale massima di 5.6.
In generale:
Questo in ragione del fatto che un diaframma con possibilità di apertura più ampia richiede una maggiore complessità costruttiva, e più la focale è lunga più è difficile ottenere ampiezza.
Quello di cui si parla molto meno invece è l‘apertura minima di un obiettivo, perché è abbastanza standard, tipicamente f/22.
Si tratta comunque di una risorsa molto importante (il grande Edward Weston, per ottenere profondità di campo eccezionali, fotografava ad aperture ancora più ridotte, e insieme ad altri esponenti della straight photography fondò un gruppo che si chiamava F/64)
“Il Peperone” di E. Weston. Per avere la massima profondità di campo (sempre critica con il grande formato) Weston chiuse completamente il diaframma della sua fotocamera a banco ottico e utilizzò una posa lunghissima, di molte ore, il che giustifica anche la luce particolare che avvolge l’ortaggio più noto della storia della fotografia”.
Può essere comunque anche superiore o inferiore – le lenti macro arrivano anche a f/32 o di più, mentre alcuni obiettivi grandangolari si fermano a f/16.
L’apertura massima rimane comunque il fattore di gran lunga più importante.
Ottiche con aperture molto ampie sono spesso dette ‘veloci’ poiché la maggior quantità di luce che riescono a fare entrare permette di usare delle velocità d’otturatore molto rapide.
Inoltre migliorano anche la velocità e la precisione dell’autofocus, che viene effettuato con il diaframma totalmente aperto.
Come al solito, però, la medaglia ha anche un’altra faccia: le ottiche veloci possono essere terribilmente costose – uno stop in più può far quasi raddoppiare il prezzo di un obiettivo, come mostrano le varianti f/4 o f/2.8 deL 70-200mm Canon.
E sono spesso anche un po’ più pesanti, per la maggior complessità costruttiva che richiedono.
Per i principianti o gli entusiasti di fotografia non sono necessarie ottiche veloci e costosissime, ma potrebbero essere qualcosa da considerare per il futuro, visto che possono ampliare le possibilità creative.
Oltre all’apertura massima, un altro fattore che incide sulle prestazioni del diaframma è il numero e tipo di lamelle da cui è composto.
Le lamelle infatti, muovendosi, determinano non solo l’ampiezza del foro ma anche la forma del suo contorno.
Questo può generare fenomeni ottici anche abbastanza evidenti, e non è raro per esempio in alcuni bokeh vedere, al posto di una luce rotonda, un poligono su cui si possono vedere i lati e angoli formati dalle lamelle.
Nota la differenza fra i due bokeh di luce qui sopra: nella prima si vede chiaramente la forma poligonale del diaframma. La seconda invece mostra un profilo delle luci molto più gentile e arrotondato.
In generale lamelle più arrotondate e di numero maggiore identificano un diaframma tecnicamente migliore.
Caratteristico di ogni obiettivo, pur nella sua semplicità (alla fine è un foro che si apre e chiude!) costituisce la risorsa creativa più importante per un fotografo.
Infatti:
In qualche maniera insomma, è la sintesi stessa di che cosa è la fotografia, arte semplice ma al contempo difficilissima!